L'occhio della madre Gli occhi e nient’altro. Sono gli occhi di Laura Boldrini a dire tutto di lei. E’ nel suo sguardo di Matrigna Addolorata che s’indovina, inabissata in due laghi di nevrosi equorea, la totalità delle sofferenze mondane. Occhi che denunciano più d’ogni commiserazione verbale, oltre ogni palinsesto istituzionale da lei offerto in viva voce agli ultimi del cielo e della terra. Appesi a due sopraccigli piangenti, bracci d’un ponte levatoio spalancato dalla piena di un Acheronte, quelli di Boldrini sono “gli occhi della madre” conficcati sul massacro di Odessa che avrebbe provocato la Rivoluzione d’Ottobre. Lo Prete Boldrini choc Alessandro Giuli 06 LUG 2013
Gay after e fiori d’arancio. Così, per Cerno, gli omosex diventano neocon Se il matrimonio gay sia l’inveramento ineluttabile del principio d’eguaglianza inoculato nell’occidente dalla Francia illuminista e rivoluzionaria, e se il suo polo dialettico-antagonista sia una visione tradizionale, gerarchica e differenziata della natura e della civiltà. Il Foglio inquadra così la marcia nuziale omosex che avanza a colpi di leggi parlamentari (in larga parte dell’Europa) e sentenze costituzionali (da ultimi gli Stati Uniti). Ne parliamo con Tommaso Cerno, giornalista dell’Espresso, scrittore (“Inferno. La Commedia del Potere”, l’ultimo suo libro uscito per Rizzoli) e “omosessuale celibe”. Alessandro Giuli 28 GIU 2013
Il lato oscuro dei valori non negoziabili Prima di tutto loro sono skinheads, oppure rude boys o anche hard mods, poi anche il resto. Questo “resto” a volte si tinge di politica e diventa puro combustibile rovesciato sopra i nervi di una sottocultura che nasce già di suo esulcerata e fiera. Può essere questo lo schema per comprendere l’infausto omicidio del giovanissimo bretone Clément Méric, a Parigi, vittima disgraziata di una rissa fra consanguinei politicizzati, tra antifà e nationalistes in boots e Ben Sherman. Il mariage pour tous c’entra e non c’entra, ma rischia di essere un ultimo cazzotto, perfino strumentale, su quel maledetto corpo a corpo parigino. Meotti Goodhart, un liberal inglese contro il “laissez faire multiculti” Alessandro Giuli 08 GIU 2013
L’alternativa è Marino, e ci siamo spiegati Attenti al Lupomanno Un problema di Alemanno è che deve ritrovare i denti e, come dice lui, non c’è molto tempo a disposizione. Questo giornale voterà per lui e lo farà votare; ma l’intervistatore, che lo conosce bene e non ha fama di alemanniano (eufemismo), sa che il sindaco ha un solo modo per galvanizzare gli elettori e giocarsi la partita del cuore: tornare Lupomanno. Alessandro Giuli 06 GIU 2013
DOMANI NEL FOGLIO Attenti al Lupomanno Gianni Alemanno passa di corsa alla redazione del Foglio e dice che non ha molto tempo a disposizione: “Sgomberiamo un campo nomadi, devo essere lì”. Un problema di Alemanno è che deve ritrovare i denti e, come dice lui, non c’è molto tempo a disposizione. Questo giornale voterà per lui e lo farà votare; ma l’intervistatore, che lo conosce bene e non ha fama di alemanniano (eufemismo), sa che il sindaco ha un solo modo per galvanizzare gli elettori e giocarsi la partita del cuore: tornare Lupomanno e fare a brandelli la letargia che lo circonda. Se l’alternativa è Ignazio Marino per cinque anni, e a quanto pare lo è, la nostra diventa necessariamente un’intervista faziosa ma non alemanniana: lupomanniana. Alessandro Giuli 05 GIU 2013
Falso Grasso Togliete a Pietro Grasso il verbo “volere” e la parola “verità”, e di lui non resterà che un sorriso fisso e muto a favore di telecamera. “Voglio la verità sulle stragi impunite”, cantilenava ancora ieri sulla prima pagina di Repubblica. Ed è una litania consunta dalla sua autoevidenza basica, dal suo non poter essere non condivisa in linea di principio. Declinata però, la litania del presidente di Palazzo Madama, con quella retorica a basso costo caratteristica di chi sa di non aver nulla di nuovo da dire e nulla di proprio da perdere, con quel senso di sicurezza placida che si prova nel sedere su una poltrona sempre orientata verso la direzione della corrente storica. Alessandro Giuli 30 MAG 2013
Requiem per la destra Mai così marginale, ininfluente, inafferrabile dal secondo Dopoguerra a oggi. Così si offre la destra italiana allo sguardo di chi voglia misurarne il battito cardiaco dopo le elezioni politiche del febbraio scorso. Malgrado alcuni recenti, non disprezzabili tentativi di dilatarne la rappresentazione includendovi la ventennale vicenda berlusconiana (vedi Antonio Polito nel suo “In fondo a destra”, Rizzoli), la destra qui presa in esame è quella post fascista nelle sue più sottili ramificazioni, secondo la filiera che dal Movimento sociale italiano ha via via generato: Alleanza nazionale (1995-2008), un terzo del Pdl guidato da Gianfranco Fini (2008-2012), la Destra di Francesco Storace (2007) e Fratelli d’Italia (2012). Alessandro Giuli 24 MAG 2013
La pitonessa Né falco né colomba, Daniela Santanchè avvolge le sue prede televisive con l’implacabile sinuosità di una pitonessa. L’altra sera, ospite di Michele Santoro, chiamata a discettare di olgettine e bunga bunga, Santanchè ha dimostrato ancora una volta d’esser lei la first lady del centrodestra, la perfetta prosecuzione del berlusconismo con altri e più ipnotici mezzi, se non pure il prologo della futura reincarnazione del Cav. Alessandro Giuli 18 MAG 2013
Caduta potenti Il volto di Romano Prodi è talmente nuovo che ieri è stato stracciato nella corsa al Quirinale come nemmeno Franco Marini. Lui che nel 1978 (secolo scorso) era già ministro dell’Industria nel quarto governo Andreotti. Lui che poteva confidare in un gran côté lobbistico, un blocco di poteri che dovevano fargli da combustibile per la grande scalata. Certo, quella stessa rete di influenza lo rende anche bersaglio di qualche antipatia pesante. Il dossier prende inizio dalla presidenza prodiana dell’Iri, su nomina di Giovanni Spadolini, nel 1982. Tre anni dopo Prodi cerca di privatizzare la Sme a beneficio di Carlo De Benedetti (Buitoni) per 500 miliardi di lire, ma lo fa pasticciando. Crippa Cade un "adulto" Alessandro Giuli 20 APR 2013
Il Prodicida La pecetta era buona ma s’affumò al primo voto quirinalizio. Oggi chissà. Ma non sembra una battaglia per Franco Marini: troppo duro il gioco, troppo esulcerati i grandi azionisti della sua cordata, in modo particolare il Pd bersaniano. L’ex capo dei Popolari era stato chiamato a stabilizzare un classico patto di sistema (Pd-Pdl più centristi e rispettivi micro alleati) e proteggerlo dalla formidabile onda d’urto dei giacobini alle porte (Cinque stelle e umoralisti d’assalto) e dai sabotatori interni (vendoliani, renziani, prodiani e confusi, compresa la corazzata del gruppo Espresso). Non poteva farcela, Marini, non soltanto per calcolo aritmetico ma per storia e carattere. Alessandro Giuli 19 APR 2013